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L’opera progettata appositamente da Federico Gori per la sala di Cascina Terrarossa all’interno della Fattoria di Celle fa parte della serie in progress Estinti. Il lavoro è composto da elementi in rame sui quali sono riportate, tramite incisioni e ossidazioni naturali, le impronte di 6 piante diverse che condividono però tutte lo stesso destino, non esistono più in natura. Nel caso specifico di quest’opera si tratta delle piante Cooksonia (conosciuta per essere stata la prima pianta ad apparire sul pianeta), Psilophyton, Zamites, Schizostachys Pinnata, Sphenophyllum, Anomozamites.

Per la realizzazione delle impronte l’artista si è rifatto ai pochi reperti archeologici che si hanno di questi vegetali, presenti in vita sulla terra in tempi diversi. Le impronte delle piante sono state trasformate in pattern ripetibili, ma benché sia riportata sempre la stessa grafica, ogni elemento in rame appare diverso dagli altri; infatti, grazie alla tecnica utilizzata, le ossidazioni in atto rendono i singoli pezzi unici come i viventi da cui originano. Inoltre il rame tende per sua natura a mutare nel tempo, a reagire agli accadimenti e a ciò che lo circonda, rivelando perciò ulteriormente questa unicità.

È presente un tempo interno sia nell’opera sia nel materiale che la compone. I singoli elementi si comportano come organismi viventi, si muovono nello spazio e nel tempo cambiando pelle e trasformandosi rivelano tutto il loro dinamismo.

L’opera è posizionata nello spazio ad occupare tre pareti della sala. Origine del lavoro è la finestra, che è leggermente decentrata rispetto alla parete su cui si staglia: da qui si irradiano due figure simmetriche, che richiamano alla mente delle grandi ali aperte tese ad accogliere il visitatore.


Estinti (Il gelo e la luce), 2022, incisioni e ossidazioni naturali su rame, dimensioni ambientali, cm 32,5 x 32,5 cad.





INVITO STAMPA Venerdì 8 aprile 2022 ore 10.30 Presentazione della mostra di Federico Gori “L’ETÀ DELL’ORO” a cura di Eva Degl’Innocenti e Lorenzo Madaro Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA 8 aprile 2022 – 8 gennaio 2023 Sarà inaugurata venerdì 8 aprile alle ore 10.30, all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA, la mostra “L’età dell’oro (la muta)” dell’artista Federico Gori, a cura di Eva Degl’Innocenti e Lorenzo Madaro. Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA è tra i vincitori del bando PAC - Piano per l’Arte Contemporanea del Ministero della Cultura (bando della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura) con una mostra personale dedicata all’artista Federico Gori e l’acquisizione di una sua opera inedita site-specific che entra a far parte delle collezioni permanenti dell’istituzione tarantina. Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA ad autonomia speciale ha incluso fino dal 2016 l’arte contemporanea tra i principali elementi valoriali alla base del suo piano strategico. L’età dell’oro (la muta), opera pensata e progettata da Federico Gori appositamente per il MArTA (e da cui deriva anche il titolo dell’intero progetto espositivo curato dalla direttrice del museo, Eva Degl’Innocenti, e da Lorenzo Madaro, con il coordinamento di Gregorio Battistoni di Atlante servizi), è costituita da una teca in legno e vetro trasparente strutturata su più livelli, contenente una serie di sculture in oro, argento, bronzo, rame e ferro, realizzate a partire dall’esuvia di 28 serpenti. La scelta dei metalli riflette la successione delle età delineata ne Le opere e i giorni di Esiodo e si lega fortemente con gli Ori di Taranto da cui l’opera trae ispirazione diretta. L’esuvia del serpente è qui assurta ad elemento simbolico di mutazione, nel suo significato più profondo: la capacità rigeneratrice della natura e delle sue creature. La mostra è allestita all’interno del percorso museale del MArTA. La Direttrice del MArTA Eva Degl’Innocenti dichiara: L’opera site-specific di Federico Gori entra a far parte delle collezioni permanenti del museo MArTA, con un dialogo tra patrimonio archeologico e creatività contemporanea di grande suggestione e contribuendo alle stratificazioni di senso e significati di questo luogo di memorie”. La mostra di Federico Gori è anche l’occasione per investigare la collezione archeologica del museo – dice il co- curatore della mostra Lorenzo Madaro - attraverso lo sguardo di un artista contemporaneo, perciò sia il catalogo che sarà editato per l’occasione che le attività legate al progetto espositivo si concentreranno su tale presupposto attraverso il coinvolgimento attivo di pensatori e studiosi di differenti discipline”. In un momento in cui nella dimensione espositiva il rapporto tra l’antico e il contemporaneo è al centro delle riflessioni curatoriali del presente, il progetto espositivo personale L’età dell’oro concepito da Federico Gori (Prato, 1977) per il Museo Archeologico Nazionale di Taranto - MArTA risulta assolutamente pregnante, perché è in grado di rivelare un percorso di conoscenza, anzi un vero e proprio itinerario tra i materiali e le forme care alla sua indagine e le opere custodite in uno dei musei più importanti del Mediterraneo. Federico Gori ha, anzitutto, posto una regola: nessuna invasione, nessuna gara tra il presente del suo lessico e le forme assolute dell’antico, difatti è egli stesso a sostenere: “Solitamente non voglio essere influenzato dal contesto in cui espongo, è importante per me pormi come una tabula rasa. Questa è una mostra pensata comunque per questo museo, ma deve vivere di vita propria”. Il progetto non è, difatti, un agonistico percorso di territori linguistici lontani millenni, ma una forma pacifica di dialogo, in cui le opere del contemporaneo si muovono con rispetto tra vasellame antico, mosaici, sculture. L’opera prodotta nell’ambito del bando è una scultura che unisce il tempo e lo spazio, epoche storiche lontanissime unite da ideali globali. Al centro di questo intimo itinerario di conoscenza c’è infatti il tempo, che si declina con diverse temperature concettuali e visive. Anzitutto il tempo della storia delle civiltà che sono al centro della collezione museale. E poi, naturalmente, quelle delle opere, appartenenti a differenti cicli, installate dall’artista. “È quindi presente un tempo interno sia nelle opere, sia nei materiali che le compongono, che per me è essenziale” – racconta ancora Gori. Il suo è un lavoro totalmente (e volutamente) disconnesso da una specifica collocazione cronologica orientata verso il presente, usa materiali che appartengono alla storia dell’uomo, la terra, il rame, elementi primigeni in grado di sviluppare forme di comunicazione radicali nel loro essere volutamente essenziali. Le opere d’arte sono organismi viventi, hanno una loro specifica pregnanza, si muovono nello spazio cambiando pelle, trasformando il proprio stesso organismo in un corpo dinamico. “Le opere in rame, per esempio, non hanno un aspetto legato al tempo esclusivamente visivo e quando io uso l’elemento vegetale lo faccio solo perché mi consente di parlare del tempo. Credo che sostanzialmente il mio fare arte sia un metodo per allontanare la morte, per entrare a contatto con un aspetto arcaico di cui ho timore, ma profondo rispetto. Produrre tramite elementi che cambiano è come una forma di esorcismo, per fare i conti con la propria caducità”, precisa l’artista nell’intervista che sarà parte integrante del catalogo della mostra che sarà pubblicato da Magonza. Vivono nella mimesi di una zolla di terra appena vangata le sculture che costituiscono le cosmogonie di 13/12 (Santa Lucia): forme plastiche di terra che vivono la dimensione dilatata di una plasticità totalizzante, in grado di generare volumi essenziali e pregnanti. I singoli elementi di questo ciclo di lavori in progress sono diffusi in più vetrine. Il pubblico è invitato a muoversi liberamente nello spazio, alla ricerca di possibili scenari. Le opere vanno scoperte nelle teche, si fanno amare nello spazio, il visitatore le deve scovare tra le superfici e le grandi pareti, che accolgono polittici concepiti incidendo il rame. Ancora una volta una forma di comunicazione visuale primaria, eppure ricercata, frutto di una progettualità specifica, che l’artista è in grado di elaborare dopo aver messo in azione un lessico composito, che va avanti da anni. I polittici di rame in mostra custodiscono pattern ripetuti in più momenti, sono immagini grafiche di fossili e piante estinte. Ecco ancora una volta il tempo, anche nelle ossidazioni naturali che persistono sulle superfici in divenire. Tempo che consuma e costruisce, che concepisce nuove geografie visive e spaziali. Federico Gori conferma la maturità di un lavoro che in questo momento storico si distingue per tipologia e pratica, pur vivendo anche di intime connessioni con la storia dell’arte, anche quella italiana degli anni Sessanta e Settanta. Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto fa anche parte del “Circuito del Contemporaneo in Puglia” dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia. Il progetto è marchio di riferimento per un’infrastruttura dedicata alla diffusione, valorizzazione e produzione di arte contemporanea. Grazie a una visione strategica e inclusiva su scala territoriale, si pone l’obiettivo di costituire stabilmente una rete policentrica d’eccellenza per la produzione e fruizione di arte contemporanea.

Profilo biografico dell’artista Federico Gori (Prato, 1977, vive e lavora a Pistoia). Dopo aver studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, viene invitato da Sergio Risaliti a esporre il proprio lavoro nel Palazzo Comunale di Prato nel 2002, all’interno dell’evento GEMINE MUSE. Lo stesso anno vince una borsa di studio presso IL GIARDINO DI DANIEL SPOERRI. HIC TERMINUS HAERET, Seggiano, Grosseto, dove realizza l’opera site-specific Life in A Glass House. Nel 2011 viene invitato alla 54^ Biennale di Venezia, Padiglione Accademie. Nel 2013 vince il Premio Speciale al TALENT PRIZE 2013, con l’opera “Giro giro tondo”. Nel 2016 vince il concorso UN GIARDINO NUOVO PER PALAZZO FABRONI, in collaborazione con gli architetti Alessio Gai e Michele Fiesoli, Museo Palazzo Fabroni Centro Arti Visive Contemporanee, Pistoia. Nel 2017 viene selezionato all’interno del progetto europeo THE SPUR ETACEC 16-18, per trascorrere due mesi in residenza artistica presso La Panacée, Centre d’Art Contemporain, invitato dal Bureau Des Arts et Territoires, Montpellier, Francia. Tra le mostre recenti si ricordano: DI FRAGILITÀ E POTENZA, Palazzo Strozzi, Firenze, 2013. ANTOLOGIA DI UN PROGETTO, Galleria Biagiotti Progetto Arte, Firenze, 2013. FINTE NATURE, UNA NUOVA SCENA ARTISTICA TOSCANA, Mac,n, Monsummano Terme, Pistoia, 2013. LE FAUX MIROIR, Palazzo Tagliaferro, Andora, Savona, 2013. Del 2015 sono le mostre personali CORTECCIA, Museo Ebraico di Bologna, e COME AFFERRARE IL VENTO, Palazzo Fabroni Arti Visive Contemporanee, Pistoia. Sempre del 2015 sono le mostre: IMPATTO 2.0, Sala Ex Pescheria Vecchia, Este, Padova. GOVERNARE IL CASO, Pinacoteca Comunale di Città di castello, Perugia. COLORFUL, Sifang Art Museum, Nanjing, Jiangsu P. R. China. Nel 2015 viene invitato da Marco Pierini a realizzare un’opera permanente all’interno del progetto PARC01 – REBUILDING THE FUTURE, Rossana Maiorca Cycle Route, Siracusa. Nel 2016 L’opera UNDERGROUND N.2, entra a far parte della collezione permanente con una sala personale all’interno del Museo Palazzo Fabroni Centro Arti Visive Contemporanee, Pistoia. Del 2018 è la personale SIATE FEDELI ALLA TERRA, nell’Atrio d’Onore del Palazzo della Provincia di Arezzo. Del 2019 è il progetto EARTHRISE, in collaborazione con lo scienziato e neurobiologo Stefano Mancuso.

Giorni e orari di visita della mostra dal martedì al sabato dalle ore 8:30 alle ore 19:30 (ultimo ingresso prenotabile alle ore 17:30) lunedì riservato ai gruppi dalle ore 8:30 alle ore 19:30 (ultimo ingresso prenotabile alle ore 17:30) domenica dalle ore 9:00 alle ore 13:00 e dalle ore 15:30 alle ore 19:30 (ultimo ingresso prenotabile alle ore 17:30)

Ufficio stampa man-ta.comunicazione@beniculturali.it Info e prenotazioni museotaranto.beniculturali.it Phone +39 099 4532112


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IL 'GIARDINO D'AUTORE' DEL MUSEO DEL NOVECENTO E DEL CONTEMPORANEO DI PALAZZO FABRONI


Via Sant'Andrea, 18 - Pistoia (PT)

tel. 0573 371817


Palazzo Fabroni, il monumentale edificio settecentesco che sorge proprio dirimpetto alla pieve romanica di Sant'Andrea con lo splendido pulpito di Giovanni Pisano (1301) e che è sede del Museo del Novecento e del Contemporaneo di Pistoia, fu dimora fino al 1842 della nobile famiglia pistoiese da cui prese il nome. Come si intuisce dalla veduta prospettica di Pistoia realizzata da Francesco Leoncini nel 1657, già intorno alla metà del XVII secolo vi si apriva sul retro uno spazio verde, come nella gran parte dei palazzi nobiliari della città. Tuttavia è solo nel 1873, nella pianta del Vecchio Catasto, che compare la prima planimetria del giardino configurata secondo la semplice geometria di un giardino all'italiana, suddiviso in due rettangoli identici, attraversati da vialetti perpendicolari, con aiuole al centro. Di tale configurazione originaria dello spazio esterno di Palazzo Fabroni, prima abbandonato e poi invaso da superfetazioni edilizie di epoca recente (anni 60/70), fra le quali l'edificio destinato per anni a litografia comunale, erano state cancellate e perse completamente le tracce.

Oggi, finalmente, esso appare come un vero e proprio 'giardino d'autore' contemporaneo, completamente riconfigurato sotto il profilo estetico-funzionale, nel biennio 2019/2020, su progetto degli architetti Alessio Gai e Michele Fiesoli e dell’ingegnere Maria Chiara Mannelli, al quale hanno collaborato l’artista Federico Gori e gli ingegneri Riccardo Caramelli e Lorenzo Barbieri, vincitore, nella primavera del 2016, di un apposito concorso di idee rivolto a giovani architetti, ingegneri e artisti. Creato a misura del luogo specifico e della sua stessa storia, tale spazio è capace di dialogare, da un lato, col Museo del Novecento e del Contemporaneo della città tanto da far parte integrante del percorso espositivo; dall'altro, con il sistema di aree a verde della zona settentrionale della città storica, dal Carbonile al Giardino Volante di Villa Capecchi fino allo spazio esterno del Padiglione di Emodialisi dell’ex Ospedale del Ceppo, spesso ‘contaminati’ di arte contemporanea. Ed essendo un intervento artistico esso stesso, dimostra come la cultura contemporanea sia talvolta capace di partecipare alla costruzione di città nuove raccogliendo le tracce di un passato illustre e inserendosi così, legittimamente, nella tradizione della città europea (e di quella italiana in particolare).

Nel disegno della pavimentazione e nella forma delle aiuole, l'elemento geometrico scelto per la progettazione dello spazio è il cerchio che, inscritto nel quadrilatero, si collega alla vasta tradizione di origine tardo-rinascimentale del giardino all'italiana e richiama anche la tradizione pistoiese del ricamo. Visibile anche dall'esterno grazie alla nuova recinzione metallica costituita da piatti metallici distanziati, e corredato ai margini di semplici sedute in metallo e pietra, al 'giardino d'autore' di Palazzo Fabroni si accede attraverso un cancello scorrevole su via Santa, un ingresso carrabile in asse con la prospettiva dell'edificio principale e col portone sotto il loggiato. Al contempo si è data così nuova vita ad un suggestivo spazio all'aperto, circoscritto e protetto, valorizzato dalla presenza delle persone che lo vorranno frequentare, nel quale vivere momenti di studio, educazione e diletto, scambiarsi idee, respirare cultura e fruire pienamente non soltanto dell’arte custodita nel museo, ma anche di quella del giardino stesso.

La demolizione del corpo di fabbrica che ospitava la litografia comunale, prevista dall'Amministrazione Comunale in fase concorsuale, e la conseguente ricostruzione del nuovo volume allineato su via Santa, da adibire a funzioni strettamente connesse con quella museale dell'edificio principale, hanno infine comportato un ridisegno complessivo del prospetto prospiciente il giardino lungo il lato est, caratterizzato dalla presenza di una pensilina in struttura metallica rivestita in cartongesso, indipendente dal corpo di fabbrica ricostruito e avente la funzione principale di creare, dietro una quinta di piante a medio fusto, coerenti con l'immagine e la tradizione del giardino all'italiana, un collegamento coperto e diretto con l'ampio loggiato su colonne del palazzo e dunque con il museo.


Bibliografia: E. Testaferrata, Guida breve ai Musei Civici di Pistoia, con una prefazione di Carlo Sisi e un testo di Donatella Giuntoli, Firenze, Centro Di, 2019, pag. 51.

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